Recensire un disco del genere è davvero più difficile di quanto sembra, la difficoltà è discernere l’artista dal disco che ha prodotto; questo perché stiamo parlando ovviamente di Coez, stiamo parlando di uno dei rapper con più seguito in Italia, metricamente nelle primissime posizioni per quanto riguarda la nostra penisola, autore di dischi del calibro di “Figlio di nessuno” e “Terapia” ed un mixtape fantastico come “Fenomeno”. Nel cursus honoris di Silvano Albanese bisogna per forza citare anche i 4 lavori con i Brokenspeakers, collettivo romano in cui è tra i più importanti e conosciuti membri.
Fin qui si sta parlando di uno dei più grandi in Italia; a metà 2012 Coez firma con la “Undamento”, sottoetichetta della “Carosello Records” (Etichetta che ha lanciato Emis Killa…) e dichiara l’uscita del suo nuovo disco. Il primo singolo “Ali sporche” non raccoglie i soliti consensi: il flow magnetico Coez non l’ha perso e non lo perderà mai, ciononostante le sonorità di quel singolo e del conseguente album è abbastanza distaccato dal hip-hop o dai suoni elettronici di “Fenomeno mixtape” .
“Non erano fiori” rappresenta il completamento dell’evoluzione musicale di Coez fino a giungere ad un genere molto molto vicino al pop: è impossibile definire questo passaggio, di cui si fatica a capire la naturalezza, giusto o sbagliato, ovviamente dipende dai gusti e dalle varie personalità… tuttavia qualcosa da dire c’è… ma per ora meglio analizzare soltanto il disco.
Quest’album si articola in sole 10 tracce, di cui 3 singoli: la già citata e molto molto chiacchierata “Ali sporche”, “Hangover” e “Forever Alone”. Da notare la totale assenza di featuring altro indizio di come l’artista abbia voluto mettere se stesso a capo del progetto ed a capo del proprio personalissimo percorso musicale affidandosi soltanto a Riccardo Senigallia per quanto concerne le produzioni.
Il flusso musicale è continuo ed abbastanza armonico sebbene qualche traccia venga digerita con un po’ più di pazienza, “Dramma nero” ad esempio: data anche la sua durata stona leggermente e non coinvolge pienamente l’ascoltatore lasciandogli soltanto impazienza di ascoltare la canzone successiva, oltre che essere liricamente molto molto triste, comunque aspettarsi in questo campo qualcosa di diverso da Coez sarebbe stato davvero ingenuo.
A livello di contenuti cadiamo spesso nella monotonia, le tracce sono legate più o meno dallo stesso argomento: l’amore che uccide, l’amore che ci ridona la vita sempre seguendo le linee piuttosto pessimistiche dell’artista originario della capitale che a livello di immagini sa far fantasticare il suo ascoltatore facendolo partire per un viaggio che dura esattamente il tempo della canzone: in ogni canzone Coez ci prende per mano e ci illustra le sue storie, anzi sarebbe giusto chiamarle fiabe noir.
L’impressione finale è che Coez si sia limitato in questo disco: si sia limitato cantando su basi non originali e tendenzialmente ripetitive, senza variare nei contenuti ma esponendoli comunque discretamente, senza regalarci collaborazioni.
Inizialmente ho parlato della difficoltà nel recensire “Non erano fiori” perché ogni caratteristica del disco può avere una duplice lettura, una negativa ed una positiva ed esprimere un giudizio finale che sappia accontentare tutti è pressochè impossibile e Coez è lo stesso a dircelo: “Chi mi vuole più pop, chi mi vuole più rap / C'è chi mi augura un flop, chi mi lascia perché / Non sa stare da solo ma il senso dov'è? E dov'è? / E lasciami stare oh!”.
Per concludere c’è da fare una precisa e concisa analisi: il disco in sé per sé è tranquillamente ascoltabile, non grava il peso delle metriche o della musicalità, tutti i pezzi sono tranquillamente canticchiabili e probabilmente rimarranno per molto impressi nella mente di chi li ascolta… Ma questo disco è accettabile estromesso dal contesto degli album di Coez, se considerato solo questo episodio il tutto può risultare buono ma, se si tiene in considerazione tutto quanto, “Non erano fiori” è una pagina dal differente stile e colore nel libro della carriera musicale di Coez. Chi saprà accettarlo?! Chi passerà sopra al fatto che questo disco esalta le mutazioni artistiche di Coez?!
Chi lo farà potrà collezionare una nuova perla di “Stillvano”… Ma è dura, è davvero dura.
E giudicare un artista con una posizione così imponente nella scena rende tutto ancora più difficile: ami il disco? Sei una groupie. Ti ha fatto schifo? Sei un retrogrado che non accetta i cambiamenti!
A questo punto si può dire di nuovo: “E lasciami stare oh!” .
Voto: Non giudicabile
-Michele Garribba "King"
Ottima recensione, nulla da ridire, hai espresso benissimo il pensiero di chi, e sono, anzi, siamo pochi, riesce a criticarlo oggettivamente, e di consguenza apprezzarlo. Ogni artista ha una sua crescita, una sua evoluzione: Coez ha scelto questa strada; ma, come hai detto benissimo tu, metricamente, tecnicamente e liricamente, nulla da dire!
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