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domenica 17 novembre 2013

Eminem – The Marshall Mathers LP 2 (Recensione)




Una cosa la voglio dire sin da subito: riponiamo le armi. Una volta tanto facciamolo: riponiamo le armi e ringraziamolo. Riponiamole e ringraziamolo. Ringraziamo Eminem per quello che ha fatto in 15 anni di onorata carriera, durante il quale Dio solo sa quanta gente si è fortemente appassionata a questa cultura musicale. “Eh ma che dici?! Nas è più bravo, Tupac e Notorious sono i migliori di sempre” volendo andare a scanso da qualsiasi equivoco, specifico: non ho detto che Eminem è il miglior mc di tutti i tempi, ma probabilmente è stato quello più accessibile ed insieme (quasi) sempre valido, a memoria: pochi come lui. Per questo, riponiamo le armi e diciamo un “Grazie” sincero a Marshall Bruce Mathers.

Per cominciare poniamo immediatamente l’attenzione sul nome del disco che ha suscitato mille discussioni, come sempre smarrite nella proverbiale notte dei tempi, “The Marshall Mathers LP 2”. Dal primo episodio , targato 2000 , trasudava una cattiveria ed un disagio che non hanno fatto prigionieri, di conseguenza era lecito attendere rime che si scagliassero prepotentemente contro i fantasmi dell’mc di Detroit?! Forse, forse no.

L’apertura del disco è eloquente: Eminem riprende e prosegue la storia iniziata in “Stan” dando libero sfogo a quelli che sono stati i suoi errori e mettendo in scena il suo omicidio da parte di un fan. Di sicuro non casuale al primo posto, la traccia rappresenta il pensiero di un artista che dopo aver sputato rime, nel vero senso del termine, per 15 anni si ritrova a fare i conti in una realtà musicale ma soprattutto di vita più matura e diversa da quella che ha contrassegnato e reso famoso Slim Shady. Tuttavia, questa maturazione non pregiudica altri aspetti chiave del suddetto rapper: l’aggressività è ad uno standard molto alto così come la voglia di dimostrare la strapotenza al microfono, ne è un esempio “Rap god” in cui l’artista si concede l’ormai usuale extrabeat, parentesi di 6 minuti di rap purissimo che come esito inducono a credere che Eminem tecnicamente sia ancora tra i migliori in circolazione, se qualcuno avesse avuto dei dubbi a riguardo. Dal punto di vista strettamente musicale notiamo un sound piuttosto variegato che da luce a qualche sperimentazione, come nel caso di “Headlights”, “Love game” e “Rhyme or reason” (Qualcuno ha detto “Necro” ?!) tracce che comunque se non vogliamo definire novità assolute tendiamo a non annoverare tra i cavalli di battaglia del rapper.

Il discorso è parallelo per le strumentali, affidate al consueto Dr. Dre ed ad un certo Rick Rubin, celebre produttore americano. Duole ammettere che a parte qualche spunto, non è proprio sui tappeti musicali che troviamo il punto forte del disco, nota dolente che ha accompagnato Eminem anche in altre produzioni.

Sarebbe bello dunque evidenziare soltanto il lato romantico di un ritorno in grande della doppia M (Che non è MadMan…), rimanere soddisfatti e tornare ad elogiare uno dei più grandi mc degli ultimi 15 anni, tuttavia è necessario porre oggettivamente l’occhio su tracce decisamente poco ispirate, su alcuni featuring evitabili (Ancora Rihanna?!) e musicalmente discutibili, sul già citato capitolo “strumentali” e su qualche liricismo tutt’altro che fresco. Spicca comunque, in brevissimo, una tecnica pregevole ed altri featuring azzeccati, ringraziamo Kendrick…

Per concludere è importante capire il contesto e la chiave di letture di questo album che mette Eminem al centro dell’attenzione con le sue inquietudini, i suoi rimorsi, il suo percorso di vita e musicale a discapito forse dell’ascoltatore, spettatore di uno show più che discreto ma che per ovvie ragioni non punta a soddisfarlo in pieno, accogliamo e ascoltiamo Eminem, se ci teniamo, altrimenti tutti liberi di ascoltare altro, Eminem è questo; prendere o lasciare. Io e credo molti altri, prendiamo.

Marshall Mathers non ha “mandato tutti a casa” però stavolta l’ha pulito davvero l’armadio.


Voto: 7/10

Michele Garribba.






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