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venerdì 15 maggio 2015

La protesta dei rapper mainstream è una farsa






C’è qualcosa di orrendo in questo post che segue. Il solo fatto che sia stato scritto è un errore, perché in buona parte sarà letto da chi non ne ha bisogno. Allora chiedo io un favore a voi: giratelo a chi potrebbe trarne guadagno, non a chi è d’accordo con quanto scritto. Non me ne frega un cazzo dei pompini “ah, sì, bravo”, io voglio il dissenso, quello vero, le critiche, la discussione.

La premessa è semplice: Fedez ha querelato (che poi non è una querela, ma una diffida che paventa anche una causa civile, che tradotto in parole povere: vuole soldi) il giornalista Filippo Facci, e l’editoriale Libero, chiedendo 100.000 euro di danni a testa per via di un articolo, a suo dire, diffamatorio.


Facciamo un passo indietro. La polemica tra Fedez e Facci nasce in occasione delle manifestazioni NoExpo di Milano. Fedez, prima delle violenze dei black bloc, sottolineava sui social come la vernice sui muri indignasse ben più delle infiltrazioni mafiose. Fedez è stato preso come capro espiatorio ed accusato, sempre sui social, delle peggio meschinità, tra cui quelle di appoggiare le azioni violente di alcuni NoExpo. Ecco, precisiamo un attimo: nelle narrazioni di molti giornalisti, col termine NoExpo sono stati indicati quasi esclusivamente i violenti, cosa totalmente equivocante, dal momento che i violenti hanno costituito una minoranza all’interno della ben più vasta protesta. Questo espediente ha permesso di far passare in secondo piano le vere ragioni della protesta, le ragioni dei pacifici: corruzione, infiltrazioni criminali, appalti truccati, lavoro gratis, eccetera.
Il culmine della faida Fedez-Facci è stato raggiunto con l’articolo di quest’ultimo, apparso su Libero il primo maggio. L’autore, in questo articolo, rispondendo al benaltrismo di Fedez (“il problema non sono le scritte, i veri problemi sono...”), ha scritto che magari avrebbe potuto anche tirargli due sberle e dirgli: ”Ma che vuoi, cosa sono in confronto alla fame nel mondo?”.
Umanamente posso anche capire l’esasperazione di Fedez, d’altro canto però non giustifico la sua scelta. Sia perché è un rapper, e quando i rapper denunciano per ‘ste cose mi viene sempre un po’ da sorridere, sia perché nella realtà in cui sono nato e vissuto io, gli avvocati non te li puoi permettere, a meno che non ti trovi davvero in guai seri. Diffamazione, querele, denunce non esistono, le offese le risolvi con le sberle, per davvero. Quindi, se Facci e Fedez si fossero incontrati per tirarsi due sberle, sarebbe sembrato tutto un po’ più umano e divertente. Ironizzo.

Il punto del mio discorso però è un altro. Una settimana fa è uscito QUESTO articolo di Kento in risposta ad un altro ARTICOLO di Scanzi, in cui quest’ultimo sosteneva che l’unica (o quasi) protesta vera nella musica, ormai, provenisse dai rapper, citando come esempi J-Ax, Fedez e Frankie Hi-Nrg. Insomma, i soliti nomi di chi il rap non se l’ascolta.
Non mi sono messo nello specifico ad analizzare la banalità dell’opposizione contenuta nei testi di Fedez e ritenuta la summa del rapper di protesta da una parte di giornalisti e soprattutto da una parte considerevole di giovani che, probabilmente, conoscono solo la versione commerciale dei rapper. Come probabilmente non conoscono autori che hanno scritto libri in cui si trova un pensiero ben più profondo di quello di Fedez e di altri “rapper di protesta”. Mi sono limitato, invece, a leggere alcuni commenti dei fan di Fedez sulla sua pagina. Riassumo in due righe il pensiero dominante: “Fedez, sei un grande, sei scomodo, dici cose che in Italia nessuno dice, vai avanti così, protesta, mi hai aperto gli occhi, non farti intimorire, sei il portavoce della nostra generazione, noi siamo con te”. Ammazza che analisi profonde, oh, la cultura di questa fanbase mi spaventa. “Eh ma noi non ci possiamo fare niente”, rispondono i rapper. Non ci potete fare niente. Come se il seguito che vi costruite non dipendesse dalla musica che fate. A ogni artista il pubblico che si crea. Il punto è che a voi servono fan che accettino passivamente tutto quello che dite perché se solo avessero una mentalità critica e uscissero, appunto, dalla mentalità del fanatico che accetta tutto ciò che il proprio beniamino dice e fa, avreste problemi a continuare a fare della musica il vostro lavoro. E chi ve lo fa fare, dopo tutti quei sacrifici...
I politici rubano, i banchieri rubano, i giornalisti raccontano cazzate”, ok, grazie, e ora che me l’hai detto? Ripeterò come un mantra le tue rime senza scavare più a fondo. Cazzo, mi hai aperto un mondo, tutte queste cose non le conoscevo!
I presunti rapper di protesta fanno il solletico al sistema contro cui vorrebbero protestare, non lo smuovono di un millimetro, di certo non lo intimoriscono. E dirò di più: non solo non combattono il sistema, ma la loro finalità sociale, consapevolmente oppure no (non me la sento di sbilanciarmi), è quella di servire i fini economici, politici e sociali di “gruppi privilegiati” (li vogliamo chiamare così? Lobby?) attraverso la propria musica. Figuriamoci se un politico, o qualsiasi persona di potere, ha paura di te che gli ripeti come un ossesso “ladro, ladro, ladro”, al massimo pagherà quattro guardie del corpo e starà più attento quando è in giro. E questi sono i rapper mainstream di protesta, eh! Figuriamoci gli altri, quelle che nei propri testi e nelle proprie canzoni ostentano il consumismo più sfrenato.

Il rap è un’arte, e serve anche questa per smuovere le coscienze, certamente. Ma non basta. Non solo non basta, ma, ai fini di una conoscenza più approfondita, è dannoso far credere che sia sufficiente ascoltare tre o quattro rapper in croce per generare rabbia e capire le problematiche che affliggono l’italia e il mondo. Ai fini di una conoscenza autentica, è dannoso fare un certo tipo di rap. Allo stesso modo di un diploma, si radica nella testa delle persone l’idea che quel modesto sapere basti. Nel momento in cui pensano che basta sapere quel poco, non sono spinti a ricercare altro, si accontentano di quello che hanno trovato perché corrisponde a ciò che si aspettavano di trovare. E io non ho praticamente mai visto un rapper mainstream invogliare i propri ascoltatori a leggersi determinati autori. D’altronde, come pretendere da una persona il cui scopo è vendersi e vendere, che spinga ad acquistare prodotti, in questo caso cultura, diversi dai propri? L’unica cosa veramente importante è pubblicizzare la propria musica, i propri video, le foto, aggiornare tutti i social ogni giorno con qualche contenuto nuovo, produrre vestiti, collanine, cover per cellulari, tutta merce che ovviamente ha il fine di combattere il sistema. Mamma mia, questa sì che è protesta!

«Il capitalismo odierno - scrive Fromm - necessita di uomini che vogliano consumare sempre di più, i cui gusti siano standardizzati e possano essere facilmente previsti e influenzati. Necessita di uomini che si sentano liberi e indipendenti, che non si assoggettino ad alcuna autorità e tuttavia siano desiderosi di essere comandati, di fare ciò che ci si aspetta da loro». Ops, ha per caso descritto qualcuno?
Se il tuo datore di lavoro è una multinazionale, a meno che tu non sia completamente scemo o un genio, non contesterai mai, mai, autenticamente. A parte che non te lo lasciano fare, sarà sempre una protesta blanda. I giornalisti, gli scrittori, se vogliono avere successo, non devono contestare veramente. Allo stesso modo, musicisti, registi, attori, gli artisti in generale. L’arte dev’essere una merce come tutte le altre, non deve avere una funzione sociale, e se ce l’ha, deve rimanere confinata all’interno dell’attuale sistema di valori, mai uscirne fuori.
Siamo in democrazia. Puoi esprimere liberamente la tua opinione. Devi convincertene. Ne sei convinto? Va bene, partiamo. Allora, vuoi contestare il capitalismo? Ok, questo ci può stare, basta che non vuoi distruggerlo. Proponi l’abolizione del potere? Oh... ma davvero? Che peccato, la tua opinione non ci interessa. Permettere di schierarsi contro il sistema è funzionale alla logica democratica: guarda, tu puoi criticarci e noi te lo lasciamo fare, senza problemi. Però non puoi spingerti troppo oltre, altrimenti la tua opinione viene tagliata fuori, capito? E se per caso ha successo chi contesta autenticamente l’attuale ordine, l’attuale sistema, è perché la sua rabbia è stata istituzionalizzata, il suo pensiero è stato distorto da chi ha il potere, e frainteso dalle persone comuni.

Se tu vuoi sapere cosa non funziona in Italia o nel mondo, non puoi aspettarti di apprenderlo dai testi di un rapper. Svegliare una gioventù assopita non dev’essere il fine ultimo di un rapper. Così come non è andare nei salotti di pseudo talk-show, o discernere di importanti questioni socio-politiche in 140 caratteri.
Io chiedo: distaccatevi da ‘sta cazzo di etichetta di “rapper di protesta” che vi appiccicate da soli o vi fate appiccicare, perché di protesta non ne vedo, vedo solo prostitute dell’industria musicale. Nessuno dei rapper mainstream italiani porta avanti una protesta reale (a parte forse Marracash, ma anche qui è un “ni”, ci sarebbe da approfondire). Sai che novità, c’è gente che lo dice da anni, arrivo io, fresco fresco a rivelare chissà quale verità nascosta. Eppure la maggioranza delle persone ci crede a queste persone. E soprattutto queste cose le leggo sempre più raramente, come se fossero stati tutti risucchiati dentro il grande vortice dell’inganno.
Chi invita i propri ascoltatori a ribellarsi in realtà sta dicendo:”Dai ragazzi, forza, ribellatevi, dai, ora state servendo, dovete avere gli stessi diritti di chi comanda, dai, forza, ora siete sfruttati infelici, dovete avere la stessa felicità degli sfruttatori”. Sostituzione dei diritti e del potere, né più, né meno. Prima è il turno di uno, poi è il turno dell’altro, ce l’ha insegnato la democrazia, no?

Io sono uno sconosciuto, questa mia idea non è importante né interessante perché non ho un’orda di fanatici che mi sostiene. Ma se avessi un’orda di fanatici che mi sostiene, la mia idea diventerebbe automaticamente importante, non perché “giusta”, “onesta” o “interessante” in sé, ma perché è stata detta da me, che sono una persona che ha dimostrato di saper catturare l’interesse e costruirsi un seguito per presunti meriti artistici. Se la professione di una persona, il suo nome, il suo titolo sono scambiati effettivamente per qualità e competenze, il giudizio critico è prossimo allo zero.
Chi è arrivato a leggere fino in fondo e decide di ignorare quanto scritto, dimenticarsene il prima possibile è innanzitutto complice, in secondo luogo maggiore responsabile della propria ignoranza. Ho letto da qualche parte che chi apre gli occhi alle persone, non tollera la loro cecità. Il problema è che molti si rifiutano di credere solo per coerenza col fatto che l’occhio non vede ciò che la mano non tocca, direbbe Santiago. Ma è troppo poco mainstream, e ho già messo molta carne al fuoco.

Crouch



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